“ma i suoi capelli sono come quelli della bisnonna” disse seriosa la madre di Marta  appena vide la piccola che sua figlia aveva appena partorito.

Quei capelli non erano forieri di buone cose, spaventavano,  tiravano fuori ricordi antichi, che il paese aveva ormai messo a tacere. L’incredulità sorse così sul viso delle donne della famiglia, non era possibile, nessuna delle donne ci credeva; li, in quel letto di pagliericcio davanti al focolare acceso, dopo due giorni di travaglio, con i visi madidi di sudore per il troppo fare, intorno a Marta che gridava come una posseduta, era accaduto l’impronosticabile. Era accaduto, così disse Marta guardandole: “ è accaduto punto e basta, e il fatto che somigli alla nonna, non vuol dire nulla, ma guardatela,  è una splendida bambina, guardate i suoi occhi come può essere portatrice di un brutto presagio?”. In effetti, la piccola Demetra era nata senza piangere, tanto che per un attimo si era pensato al peggio.  Stava, era delicata e stava, sembrava che stare fosse l’unica cosa importante in quel momento per lei.  Le donne si avvicinarono guardando la piccola e guardandosi tra loro, con sguardi rapidi e pieni di dubbio, avevano quasi timore.  Un timore reverenziale che si deve, si, ad una neonata ma ancor di più si doveva a quella neonata. Era fragile, piccola, delicata e morbida, faceva sorridere, si, in effetti, erano strani i suoi capelli già troppo lunghi,  di un riccio che sembrava non appartenere a questa terra,  sottili come fili d’oro, però era bellissima e le donne, forse per quell’amore innato che le rende donne, davanti a quel piccolo frugoletto si emozionarono e lasciarono cadere quell’argomento, come se nulla fosse mai stato.

Dopo quel giorno nessuno apertamente parlò più di Demetra, almeno non ricordando episodi antichi.

Era il giorno del dodicesimo compleanno di Demetra, il suo corpo cominciava a farsi da donna, il seno iniziava a vedersi appena, una lieve collina sotto il vestito, di cui Demetra si vergognava.  La sua vita era scorsa normalmente, giochi con i bambini, la scuola non tutti i giorni, in fondo a che le serviva imparare a leggere e scrivere? Era nata per lavorare i campi, come sua madre, e come la madre di sua madre prima di lei. Era una bambina allegra e aperta conosceva per istinto i giochi con cui far giocare gli amichetti, ed era molto cercata dai suoi coetanei, era divertente ed aveva uno splendido sorriso che metteva allegria.

Demetra aveva già le idee chiare sul suo futuro.  Avrebbe sposato “Antonio con gli occhi blù”, il figlio dei contadini vicino ed avrebbe fatto tanti bambini, avrebbero lavorato i campi, venduto il pane a tutto il vicinato e sarebbero stati felici. Perché è quella l’idea di felicità per una ragazzina.

Era il giorno della sua festa, e le era permesso di non andare nei campi, le era concesso il bagno che altrimenti sarebbe toccato solo la domenica, e poteva, quel giorno, indossare il vestito delle feste, era rosso con piccoli quadrettini  bianchi, il colletto era bianco e inamidato, si sentiva splendida, con quello addosso e con le sue scarpette di vernice nere. Andò davanti allo specchio per raccogliersi i capelli in uno chignon vaporoso, d’altra parte non poteva fare altrimenti con quell’ammasso di riccioli e poi lo chignon era la sua pettinatura preferita l’aveva vista in alcune fotografie nei negozi del paese. Era lì con i suo occhi che la guardavano e con i suoi denti bianchi apparivano dietro un sorriso.

Mentre era intenta a sorridersi, all’improvviso , sentì uno squarcio dietro di lei, e vide come una specie di bagliore, si spaventò ma restò con lo sguardo immobilizzato sul punto del bagliore che vedeva nello specchio :”buongiorno piccola Demetra” disse la voce, e lei non riuscì a vedere nessuno riflesso, si girò di colpo e rimase stupita nel vedere la sua bisnonna morta prima della sua nascita, riconobbe  il volto, ma ancora di più i capelli, quei capelli crespi e ricci che somigliavano molto ai suoi, si ricordava di lei,  perché  lei era la stessa che aveva visto a casa di sua nonna nella fotogafia sopra il comodino.

“Demetra, sono qui per ricordarti chi sei, sono qui perché tu hai un grande potere, sappi che tu puoi vedere oltre, tu hai la capacità di vedere oltre a dove guarda l’occhio umano, sappi che nel sentire troverai la tua pace, i poteri portano con se un lato negativo, possono essere anche forieri di dolore. Ricordati sempre che tutto è fatto per il tuo massimo bene, non esiste il male e lo sbagliato,  ogni cosa è il bene per te. Cerca di non badare a quello che diranno gli altri, ascolta il tuo cuore e vai in quella direzione,  fidati di quello che senti”. Demetra, non ebbe tempo di dire nulla e quella che le sembrava la figura della sua bisnonna sparì.  Si sentì turbata, ed iniziò a chiedersi che cosa volevano dire quelle parole, se era semplicemente stato un sogno, un momento di allontanamento dalla realtà, era  davvero la sua bisnonna? Avrebbe dovuto parlarne con sua madre e con sua nonna? Decise di tenersi tutto per se, l’avrebbero scambiata per matta e lei già si sentiva matta, dopotutto, vedeva delle figure inesistenti nello specchio e oltretutto le parlavano…. Oh cielo, era impazzita.

La notte della sua festa tutto fu splendido, l’unica cosa che stonava era il ricordo di quell’incontro, e le strane sensazioni di dubbio che albergavano Demetra. Durante la notte sognò sogni strani, sognò che volava sopra un bosco e che tutte le creature del bosco si inchinavano al suo passaggio, sognò di piccole creature, gnomi, fate ed elfi, sognò una voce che diceva : “Sii autentica, anche se non sei sicura che sia la cosa giusta, fidati  di quello che senti dentro di te, sempre e a qualunque costo”. La vita riprese regolarmente, quasi si dimenticò di quell’episodio, passarono gli anni.

Una mattina mentre andava a lavorare nei campi, era vicino alla sua amica Giovanna e sentì il desiderio di raccontare quello che sentiva dentro di se, era così tanto e pieno, intenso, erano mesi che si sentiva ormai pregna di vita di sentire e di emozioni, era un vaso che stava per traboccare, doveva far uscire qualcosa e disse:  “ sai Giovanna io sento, e tu mi dirai cosa senti? Bè non lo so esattamente cosa sento ma so di avere qualcosa di diverso dagli altri, sento di riuscire a vedere, ma il vedere non è vedere è sentire, so di sentire gli altri, io comprendo le loro dinamiche, comprendo i loro schemi, ci sono giorni in cui mi arrabbio perché riconosco cosa li muove e vorrei dirlo, vorrei dirglielo, sarebbe semplice, poi mi dico, chi sei tu per fare questo… e mi tengo tutto per me, ma io so di avere delle chiavi dorate in mano,  e non so che farci”.

Giovanna la guardò sbalordita: “Demetra ma come parli? Usi strani termini, non sono parole tue, come se tu recitassi, i tuoi occhi si erano riempiti di una luce che non ti avevo mai visto, sei ancora tu? Che parole sono dinamiche, schemi, muovere, riconosco ???? Mi spaventi”.

Demetra tacque, comprese che in effetti,  le parole che aveva usato non erano proprio sue, erano arrivate da qualche parte che non era proprio lei, cioè, era lei, ma non era quella lei che mostrava agli altri ogni giorno, era una lei, che stava da un’altra parte.  Comunque tutto quello che era uscito lo sentiva vero era quello che sentiva dentro da un po’ di tempo, aveva compreso cose che non si possono spiegare, le aveva comprese all’interno di sé, le sentiva ovunque, nelle cellule nel sangue nel cuore nei pori della pelle.  Improvvisamente sentì fortissima la sensazione che questa confessione era portatrice di guai. Così fu, Giovanna raccontò l’accaduto a sua madre che lo disse alla vicina, entro breve lo sapevano tutti in paese. Il paese è come brace che alimenta il fuoco, il paese trasforma le parole in leggenda, e poi, quelle voci su sua nonna, la nonna che chiamavano “la vecchia strega”, la nonna che sapeva curare con le erbe, quella donna che era vera, era verace, quella che lasciava uscire ogni parola che sentiva dentro, quella che spaventava per la sua autenticità, non c’è nulla che fa più paura di chi dice esattamente quello che pensa senza ascoltare quello che vorresti sentirti  dire.

La piccola Demetra ben presto diventò una persona da evitare, non aveva più amici, non sapeva con chi parlare, anche la sua famiglia le si era rivoltata contro, sua madre e sua nonna erano a disagio nel ruolo delle donne della stirpe delle streghe, e anche Antonio dagli occhi blù non voleva più avere a che fare con lei.

Demetra se ne stava silenziosa nei campi, faceva lunghe passeggiate nei boschi era triste, si sentiva sola, avrebbe voluto comunicare a qualcuno le cose profonde che ogni giorno scopriva in se stessa, aveva conosciuto sensazioni che riguardavano il genere umano aveva grandi comprensioni ogni giorno, era sempre più presente a se stessa, si sentiva ogni giorno più forte, più veniva schernita e più si chiedeva come mai certe cose non la toccavano profondamente, erano ferite superficiali. Per le donne del paese lei era, la psicopatica, la strega, la strana, era diventata l’asociale, e tutti i peggiori appellativi, perfino in famiglia era quella che non capiva nulla. Un giorno mentre camminava nel bosco in una delle sue passeggiate, ebbe una sorta di illuminazione, da una semplice riflessione sugli appellativi che le erano stati rivolti,  ebbe la sensazione che si aprisse una porta, una porta che non aveva mai aperto, una porta che la portò in una dimensione diversa da quella quotidiana, la percezione che le arrivò riguardava la facilità di giudizio, ebbe la sensazione che quella pratica così diffusa di giudicare e definire gli altri in qualche modo, altro non era, che una parte del bisogno di chi non conosce se stesso di definirsi, così se lei era la psicopatica, la strega, la strana, l’asociale, la stupida, la persona  che pronunciava quegli appellativi,  per un attimo poteva sentirsi : la sana di mente, la fata, la normale, la persona socievole e l’intelligente. Quindi il definire e giudicare qualcuno è parte di un bisogno di qualcun’altro da colmare.

Solo guardando dentro se stessi si scopre chi siamo veramente, si scopre la nostra essenza.  Solo se si entra in contatto con il noi più profondo, scompare la necessità di definire gli altri per capire chi siamo, perché chi siamo è implicito, e quando sappiamo chi siamo nemmeno i giudizi degli altri arrivano veementemente, perché ci riconosciamo e riconosciamo da dove arrivano.

Demetra ebbe così la certezza che forse sarebbe passato del tempo, ma lei sarebbe stata quello che era, avrebbe respirato se stessa e si sarebbe innamorata di se, tanto da sapere che non era possibile sbagliare nella vita, perché nulla era giusto o sbagliato, le cose semplicemente erano. Come le aveva detto sua nonna, tutto era per il suo massimo bene.  Sentì un sorriso che le spuntava sulle labbra mentre una lacrima scioglieva tutto quel ghiaccio che aveva tenuto per tanto tempo dentro di se, Io sono quella che sono, è dunque questo vedere oltre?  Vedere oltre significa amare e comprendere anche le fragilità degli altri, perché in esse riconosci te stesso ? sapere che le persone possono toccarti per un attimo, possono metterti qualche dubbio, possono ferirti,  forse anche inginocchiarti, per qualche momento, ma poi,  se tu sai chi sei, nessuno può scalfirti e guardando le cose da dentro te stessa, può solo uscirti un sorriso compassionevole, conoscendo te stessa conosci anche gli altri. Grazie nonna.